lunedì 16 aprile 2012

L’Orientalismo in John Zorn: Forbidden Fruit, Torture Garden, Ganryu Island, Filmworks VII e New Traditions in East Asian Bar Bands Prima Parte (1)


Razzista! Misogino! Asiofilo! C’è stato un periodo, per quasi tutti gli anni ’90, in cui questi insulti erano cosa normale per John Zorn. Da allora ne è passata di acqua sotto ai ponti e molte cose sono cambiate: Zorn è un compositore stimato e rispettato e solo i fan di vecchia dei dischi dei Naked City e dei Painkiller ricordano la retorica riscaldata con cui all’epoca negli Stati Uniti le musiche di Zorn venivano frettolosamente liquidate. All’epoca gli americani asiatici (o meglio alcuni studiosi orientalisti americani) condannarono sommariamente Zorn ed il suo uso dell’arte erotica giapponese, e ne seguì uno scandalo di rilevanza nazionale. Sebbene questo possa essere ancora un soggetto controverso io ritengo invece che l'uso dell’orientalismo da parte di Zorn in questi lavori (e in altri pubblicati successivamente dopo queste polemiche e mai esaminati dalla critica) presentino uno spaccato veritiero sul Giappone, atto a non ridurre la cultura giapponese a una accozzaglia di significati non-funzionali, come è il caso qualche volta del postmodernismo multinazionale. Questo saggio esaminerà due dei lavori postmoderni di Zorn che trattano direttamente con l’orientalismo dal punto di vista musicale, visivo e testuale, ovvero Torture Garden e Forbidden Fruit, e altri tre cd Ganryu Island, Filmworks VII e New Traditions in East Asian Bar Bands, musiche che hanno oltraggiato alcuni, ma anche contengono musica molto originale con una prospettiva unica sulla cultura giapponese.

Da quando Edward Said scrisse il saggio intitolato Orientalismo, [Edward W. Said, Orientalism (New York: Pantheon Books, 1978)] questo termine è stato applicato a molti aspetti della società, filosofia, e cultura. In soldoni, ha a che vedere con la rappresentazione dell'oriente (Vicino, Medio, e Lontano l'Oriente) da parte dell’Occidente in tutti i campi, dalla politica all’arte. A proposito della musica, si può notare come un grande numero di lavori, sia prima che dopo il 1978, esibiscono elementi orientali, alcuni più espliciti che altri. Dato che la musica è una forma di comunicazione inerentemente astratta, elementi musicali che chiamano l'oriente in modo puro sono piuttosto limitati: noi abbiamo l'uso di scale orientali e tradizionali, come la pentatonica; strumenti esotici, come il koto del Giappone o lo zarb della Persia; e l'uso di canzone popolari, settore esplorato da compositori come Bartók. Ma ci sono anche metodi extra-musicali per richiamare l'oriente; in primis un testo che potrebbe consistere di una nota di programma, un poema tradizionale recitato a memoria come parte del lavoro, il resoconto di un'opera o semplicemente il titolo. Mentre si può discutere sul fatto che la rappresentazione di un poema o di un testo possa costituire un elemento musicale, sembra che, in caso si rappresentazione, sia più importante il suono della lingua straniera piuttosto che l'elemento melodico nella voce. Nel caso dell’opera poi c’è anche l’aspetto visivo (costumi,danze, scene) che gioca un ruolo di rilievo nell’evocare l'oriente.
Più tardi, con l’industria discografica del ventesimo secolo l’orientalismo nella musica guadagnò maggiore popolarità attraverso un altro aspetto: l'arte delle copertine dei dischi.
La cultura occidentale ha sempre guardato ad Oriente alla ricerca di stimoli, idee, raffinatezze con cui aggiornare e caricare di nuove energie la nostra arte e la nostra società. La musica non è da meno e molti compositori contemporanei hanno deciso di evocare l’oriente nelle loro musiche, con risultati non sempre rispettosi delle culture che essi andavano a studiare (e in molti casi a saccheggiare).
Alcuni compositori si sono semplicemente limitati ad incrementare i colori della loro tavolozza musicale, altri hanno assimilato queste culture all’interno della propria e altri ancora ne hanno utilizzato alcuni aspetti mantenendoli però intatti.
Per un compositore come George Crumb, che ha sempre amato lavorare e confrontarsi con suoni nuovi e particolari, l’oriente ha rappresentato una cornucopia di strumenti, timbri e colori particolari: in Music for a Summer Evening ha utilizzato campane buddiste giapponesi, thumb piano e percussioni africane e cinesi e altri strumenti di derivazione non occidentale. La pluralità e la diversità fra loro di questi strumenti indica non tanto la volontà di rappresentare qualche aspetto specifico di un’altra cultura, piuttosto il fatto di impiegarli in modo più o meno arbitrario in quanto portatori di novità per il pubblico occidentale.
Tehillim di Steve Reich è un buon esempio della seconda categoria in quanto si parla di melodie derivate da Salmi Ebraici e mediorientali impiegati all’interno delle tecniche minimalistiche e di derivazione jazzistica dello stesso Reich. Questo rappresenta un interessante utilizzo di materiale musicale non Occidentale e crea una nuova sintesi tra arte Occidentale e Orientale.
La terza categoria è rintracciabile invece all’interno di alcune musiche di John Zorn, come Forbidden Fruit (Spillane), che presentano aspetti e caratteristiche delle musiche e delle arti orientali liberi però dai condizionamenti della cultura Occidentale.
Frequentemente però i compositori occidentali si limitano a saccheggiare indiscriminatamente le idee orientali a proprio beneficio, permettetemi una piccola polemica personale: credo che un koreano che ascolti le Variations on a Korean Folk Song di John Cage rimarrebbe piuttosto sorpreso nello scoprire quanto la musica cinese faccia parte della sua musica popolare.
Tutto questo “pistolotto” perchè mi chiedo se sia corretto per un compositore ignorare in modo più o meno innocente e consapevole le strutture culturali sottostanti all’arte orientale e allo stesso tempo mi chiedo però se per il pubblico sia davvero necessario conoscere questi aspetti per apprezzare musica composta con strutture o strumenti “esotici”.
Penso che a un Cinese farebbe piacere scoprire che l’arte del proprio paese è correttamente rappresentata e citata e non scambiata per arte Coreana o Giapponese, ma per chi ascolta con orecchi nuove … importa davvero?

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