lunedì 22 agosto 2011

Alessandra Novaga: Sound Res con Lee Ranaldo


Non potevo credere di trovarmi improvvisamente nella Downtown di New York.
Infatti ero a Lecce, nel pieno della “villeggiatura”estiva. Eh già, perché nel Salento, magnifica terra di contraddizioni, tradizione e innovazione a volte convivono in un piacevole equilibrio anche perché il posto è talmente bello!
A Lecce, quest’anno, sempre sotto la direzione artistica del percussionista americano David Cossin , si è svolta l’ottava edizione di Sound Res, programma di residenza di musica e arte contemporanea basato sulla collaborazione di importanti musicisti e artisti prevalentemente americani. Le passate edizioni hanno ospitato personaggi del calibro di Philip Glass e Terry Riley, così come Bang on a Can e, dulcis in fundo, quest’anno, tra gli altri, Lee Ranaldo (Sonic Youth) e Phill Niblock.
Quest’ultimo ripescato all’ultimo momento, dato che il signor Niblock trascorre in Europa i sei mesi in cui non è a New York nel suo loft, dove è passata tutta l’avanguardia che ha contato qualcosa sulla scena dei tempi d’oro (e continua a passare); in Europa prevalentemente a Ghent (Belgio), per il resto passando di residenza in residenza. Quest’estate è stato in Sicilia e in Calabria, dunque perché non precettarlo anche in Puglia? E per nostra fortuna così è stato, e così questo dolcissimo simil Orson Welles ci ha allietati con la sua presenza e, soprattutto, con le sue performance.
Sound Res si pone come obiettivo quello di ospitare gli artisti stranieri e di metterli in contatto con quelli nostrani, per produrre delle opere, organizzando, oltre ai concerti, riuscitissimi workshops destinati anche ai bambini.
Io ho partecipato a quello del chitarrista Lee Ranaldo. Il tutto si è svolto in un’anonima periferia leccese con altrettanto anonime palazzine degli anni sessanta tra cui spicca questo incantevole palazzotto del ‘500 appena ristrutturato da un’associazione locale per destinarlo alla “cultura”, con un bellissimo nome: Ammirato Culture House. C’è un cortile, una stanza che vi si affaccia e un piano di sopra con alcune stanze che fungeranno da foresteria per gli artisti ospiti. Tutto bianco di pietra leccese.
Non si sa bene cosa accadrà, ci sono un po’ di chitarristi che si aggirano, le efficientissime organizzatrici (Lara Castrignanò e Alessandra Pomarico) accolgono tutti in un clima estremamente semplice e informale. Dalla stanza provengono dei suoni. La giornata è torrida, siamo al 6 di agosto. I suoni vengono dai Mac di Phill Niblock che sta provando con la video-artista canadese Katherine Liberovskaya e il sound designer inglese David Sheppard, per la performance che si terrà la sera stessa.
Arriva Lee Ranaldo, abbronzatissimo e evidentemente fresco di doccia dopo il mare, con la sua chitarra in spalla e una scatola di scarpe sotto il braccio (per i feticisti del caso erano scarpe Puma), che si rivela poi custodire i magnifici pedalini!
E mi rendo conto di che fortuna sia essere lì in quel momento, inaspettatamente, con Niblock che prova a pochi metri e Ranaldo che si aggira aspettando di iniziare il suo workshop, chiacchierando amabilmente con chiunque lo avvicini. Con lui c’è la sua bellissima moglie Leah Singer, artista visiva che fa parte del gruppo di artisti in residenza per questa edizione.
Finalmente si comincia, non si sa bene se noi suoneremo o se suonerà solo lui.
Fortunatamente suonerà solo lui!
Ci troviamo in una stanza approssimativamente di 10 metri per 6 con i soffitti a volte incrociate. Al centro c’è il tavolo con svariati Mac di tutte le dimensioni, di Niblock e della Liberovskaya, che rimangono lì seduti per tutto il tempo. Sparse ci saranno una quarantina di persone. Fa caldissimo, ogni tanto David Cossin sale su una sedia e armeggia con un condizionatore che fa le bizze (o è solo che da buon americano non gli pare vero di non avere una temperatura di almeno 18 gradi all’interno?). Ranaldo è lì seduto con la sua Fender Jazzmaster e sta suonando un pezzo, melodico e tranquillo.
Da quella canzone nasce una circumnavigazione che durerà circa 30 minuti, in cui succede di tutto. È magnifico vedere questo “signore” di più di cinquant’anni, elegantissimo nei gesti e nella postura, gentile, disponibile e allo stesso tempo estremamente poco compiaciuto e apparentemente ignaro di essere un mito vivente. E’ molto concentrato e inizia una dimostrazione del suo modo di “trattare” la chitarra.
La sua Fender è meravigliosamente malconcia. La vernice è consumatissima, è piena di segni causati dalle botte che continuamente le vengono date con qualsiasi cosa gli capiti a tiro, è piena di adesivi, scotch e anche un post-it.
Iniziano feedback ottenuti in tutti i modi possibili, loop mai vistosi ma usati per incrementare la massa sonora che cresce. Poi si alza e maneggia la chitarra come se pesasse un nonnulla. La tiene sospesa con due dita, la suona con l’arco, la percuote con bacchette di diversa foggia, la fa roteare, suona lo spazio che ha intorno. Impugnando il corpo della chitarra come se fosse un contatore geiger, fa strisciare la paletta a terra, su quei magnifici lastroni chiari di pietra leccese, sui muri, creando delle risonanze magnifiche e maestose, cercando i punti in cui la stanza suona meglio, come se la stanza stessa fosse uno strumento; si muove da una parte all’altra, in modo energico e risoluto; ritorna indietro insistendo su una nicchia dai muri antichi e spessi, per creare un’esplosione di risonanze.
Torna a sedere e i suoni rientrano nella canzone da cui tutto era partito. La chitarra è accordata alla Sonic Youth, dalla sesta alla prima GGCGCC.
Finisce di suonare e inizia una conversazione con noi che siamo lì e gli facciamo delle domande. Per questo rimando a dei piccoli video fatti con l’iphone.
La serata prosegue con un concerto di Phill Niblock e Katherine Liberovskaya. I primi due pezzi non sono vere e proprie composizioni di Niblock ma registrazioni di suoni esistenti da lui rimanipolati. Per il primo la film-maker ha usato un montato di girati vari degli ultimi dieci anni, il secondo invece è stato filmato in una fabbrica di tessuti e le inquadrature riguardano i dettagli di queste macchine in azione. È magnifico vedere come le immagini si dissolvono una nell’altra esattamente come il drone, apparentemente costante, evolve da un suono all’altro senza che lo spettatore avverta il momento in cui avviene il cambiamento. Il volume è molto alto ma sostenibile, cosa che non si può dire del pezzo eseguito per ultimo. Si tratta di Guitar Too, for four (G2,44) composto da Niblock per i due Sonic Youth, Lee Ranaldo e Thurston Moore. Qui la parte di Moore è registrata mentre Ranaldo suona il pezzo dal vivo dimostrando una concentrazione totale, praticamente al buio (con un video che gli corre alle spalle), imperturbabile, da navigata rockstar, anche quando a un certo punto un fotografo “molesto” gli spara in faccia una serie di flash che in quell’oscurità accecano anche chi è dietro. Ora il volume diventa davvero insostenibile, mi giro e vedo Niblock che si tappa le orecchie con le mani, quindi mi sento autorizzata a farlo anch’io senza troppo imbarazzo…se lo fa lui…
La sera dopo, nel grande cortile del Palazzo dei celestini, ci sarà la performance/installazione di Ranaldo e di Leah Singer, che vi interviene con dei video proiettati su tre schermi enormi alle due estremità del cortile; il titolo è Sight Unseen.
I due artisti l’hanno già eseguita in altri posti, in Canada e in Olanda, e in una di queste occasioni la performance è durata tutta la notte!
Il fulcro è la Fender di Lee Ranaldo sospesa al centro del cortile immenso, appesa a un cavo. Con il nastro adesivo è stata attaccata un’antennina wireless che la mette in contatto con i quattro amplificatori e i pedali che sono tutti ammassati a pochi metri dalla chitarra. Quindi al centro, come fosse un’arena, ci sono Lee Ranaldo, la sua chitarra sospesa e tanto spazio intorno a lui. Intorno a questo spazio ci sono i performer che vengono reclutati “su piazza” e gli altri ospiti in residenza. Stasera non va male. C’è Jeffrey Zeigler, il violoncellista del Kronos Quartet, il percussionista David Cossin e le cantanti Helga Davis e Tina Tindle. Ci sono tre voci recitanti e sei chitarristi per lato, tra cui io, con la chitarra accordata come sopra (GGCGCC), con il compito, a un suo gesto, di suonare fortissimo, con distorsore e delay, delle sequenze di accordi precedentemente concordati con Ranaldo .
Siamo lì dalle sei di sera, c’è ancora il sole, iniziano le interminabili manovre per allestire tutto l’apparato fonico e video. Lui appende la sua chitarra che rimane lì a ondeggiare nel venticello. Pian piano la luce cambia e il cielo si fa sempre più azzurro, e stare lì seduti con la chitarra in mano, circondati da tanta bellezza, in un tempo sospeso, come sospesa in modo surreale è la Fender color petrolio che da sola continua a ondeggiare, è estremamente eccitante. I passanti attraversano il cortile e non capiscono cosa accadrà.
A ricordarmi che siamo in Italia (quell’altra, non la nostra…) ci pensano dei poliziotti che arrivano come in un film degli anni cinquanta, a dire di fermare tutto perché disturbiamo una funzione religiosa, e poi il prefetto, che abita lì, mica aveva capito che la musica sarebbe stata così forte, forse si deve annullare tutto.
Ma non si annulla niente e alle dieci circa le luci si accendono. Iniziamo.
Lee Ranaldo entra nell’ ”arena” solo e inizia a dialogare con la sua chitarra sospesa, dirige tutti quelli che gli sono intorno, il violoncello, le percussioni, le voci. A tratti prende la chitarra, sempre attaccata al cavo, e la lancia violentemente tanto che nel suo vorticoso girare sfiora gli spettatori seduti a terra tra noi e lui. Usa tutto il repertorio che il giorno prima ci ha mostrato nella sua performance “privata”: usa l’arco, gli effetti, muove la chitarra suonando non più una stanza ma l’aria, la stacca e corre all’impazzata da una parte all’altra del cortile e struscia la paletta contro le antiche mura del palazzo; crea incredibili feedback. I suoni sono magnifici, potenti e caldi. Significanti. Quando suoniamo noi chitarristi si crea un muro di suono incredibile!
I video scorrono ma io non riesco a guardarli. Sono troppo concentrata su di lui. Il tutto va avanti per quasi due ore, senza sosta, in crescendo. Alla fine la chitarra resta lì sospesa, lui si appoggia tra due schermi e dal pubblico si alzano una delle organizzatrici e la sua piccola bambina che, con delle bacchette iniziano a percuoterla. Arrivano i due figli di Ranaldo a fare lo stesso e poi lui invita il pubblico ad agire sullo strumento. E lo fanno in tanti. Fa un certo effetto vedere la tranquillità con cui l’artista permette di far suonare, anzi percuotere, la sua chitarra da chiunque!
Poi smettono. La chitarra rimane lì sospesa nel vuoto, da sola. A suonare l’aria. Ranaldo si avvicina e sarà lui a concludere la serata.
Poi tutto si ferma e il pubblico esplode in un applauso liberatorio e pieno di calore.
La serata è conclusa. Mentre metto a posto i pedali, i cavi, l’amplificatore, ecco che sbuca dall’oscurità Lee Ranaldo! Viene verso noi musicisti e ci ringrazia uno per uno: “Thank you for coming”. Io gli do due baci e gli dico “thank You, Lee”.
La sera torno a casa, a Gallipoli, altro luogo incantato dove ho la fortuna di trascorrere le mie estati, e il giorno dopo mi sveglio con ancora l’adrenalina in circolo.
Manterrò il livello suonando Romitelli che di Lee Ranaldo e di Sonic Youth ne sapeva qualcosa!

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