martedì 3 maggio 2011

Intervista a Roberto Taufic, parte prima


La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra e con quali strumenti suona o ha suonato?

Bene, ho cominciato a giocare con la chitarra grazie al fatto che mio padre si divertiva a suonare i suoi tre accordi ed io cercavo di imitarlo: faceva musica messicana, Elvis Presley e giù di li…poi ho cominciato ad appassionarmi allo strumento e ad imparare altri accordi e canzoni, che per fortuna erano belle e piene di armonie interessanti. Ho cominciato poi a suonare Musica Popular Brasileira con i miei amici di scuola e avevamo un bel gruppo di choro nel quale suonavo il cavaquinho. La MPB, essendo così ricca di accordi, melodie e ritmi, mi ha subito fatto entrare in un mondo musicale che ancora oggi mi motiva e mi ispira: autori come Chico Buarque, Milton Nascimento, Caetano Veloso, Luiz Gonzaga, Jobim e tantissimi altri sono stati la mia scuola. Ascoltavo i dischi e stavo delle ore a cercare di imparare i brani a modo mio, anche sbagliando qualcosa, ma sempre sfidando l’orecchio…cose da autodidatta! Come strumenti, niente di particolare, chitarra classica (una Asturias vecchissima, una fatta in Brasile da Fraterno Brito, liutaio di Natal, città da dove vengo e che si trova nel Nordeste del Brasile e poi una Landola comprata a Roma nei miei primi anni in Italia) poi una Acustica (Seagull) , alcune elettriche (Guild, telecaster e Stanzani ) e poi il cavaquinho, le percussioni e la viola caipira (strumenti tipici brasiliani).

Lei ha una storia un po’ particolare, decisamente cosmopolita, nato nell’Honduras, madre di origine palestinese, si è trasferito con la famiglia in Brasile all’età di cinque anni e a dieci anni ha iniziato i suoi studi musicali … poi l’Italia .. i concerti .. il mondo, quanto hanno influito in lei tutti questi cambiamenti? Come era il Brasile alla fine degli anni ’60? Sono un appassionato del Tropicalismo, ho letto la autobiografia di Caetano Veloso, gli scontri culturali, il conservatorismo, la dittatura militare … lei che ricordi ha di quel periodo?

Posso dire che arrivato in Brasile nel 70 all’età di 4 anni non mi rendevo conto di cosa stava accadendo, imparavo la lingua, giocavo, conoscevo i miei parenti brasiliani, ecc. Ho cominciato a conoscere meglio la musica del Brasile quando avevo 14 o 15 anni grazie a dei cugini più grandi che mi portavano a casa i dischi di Caetano, Gil, Milton Nascimento, Elis Regina e Chico Buarque (protagonisti importantissimi nel periodo della dittatura militare) per farmi imparare alcuni pezzi da suonare negli incontri di amici e alle feste… ma per me era solo musica e non mi preoccupavo tanto della situazione del paese anche perché vivevo a Natal dove non si sentiva tanto il clima di tensione.
Poi con il tempo, vivendo già in Italia, ho cominciato a conoscere meglio cos’era quel periodo e a capire la genialità di autori come Chico Buarque, Caetano, Gil e Edu Lobo, il loro modo di “fregare” la censura con dei testi intelligentissimi. Poi il loro esilio…tante storie… oggi suono gli stessi pezzi di quel periodo con un’altra consapevolezza e sicuramente con una migliore interpretazione ed un rispetto più profondo.

Nel suo disco “Eles e Eu” lei mette in mostra una notevole perizia e qualità tecnica, indipendentemente da quello che suona, lei dimostra sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?

Innanzi tutto grazie per questi complimenti, fa sempre piacere!
Ad un certo punto della carriera di un musicista, la tecnica deve essere direttamente collegata all’emozione, è quello che penso ed è quello che cerco di trasmettere anche ai miei allievi. Dopo i primi anni di conoscenza dello strumento uno comincia ad avere dei gusti propri e a scegliere delle strade, e da questo momento è importante suonare il più possibile cercando qualcosa di personale e che passi emozioni, prima di tutto a se stessi. È impossibile trasmettere qualcosa se non succede niente dentro di noi! La tecnica serve per darci la libertà di esprimersi senza limiti e la sicurezza viene con l’esperienza. Suonare tanto in giro è la cosa più importante.

continua domani

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