mercoledì 25 maggio 2011

Intervista con M Tabe (Marco Tabellini), seconda parte


Nel 1968 Derek Bailey chiese a Steve Lacy di definire in 15 secondi la differenza tra improvvisazione e composizione. La risposta fu “In 15 secondi la differenza tra composizione e improvvisazione è che nella composizione uno ha tutto il tempo di decidere che cosa dire in 15 secondi, mentre nell’improvvisazione uno ha 15 secondi” .. la risposta di Lacy era troppo ironica o corrisponde a verità?

Forse un po’ sardonica. La composizione offre la possibilità di articolare un pensiero musicale in modo approfondito, riflettendo, provando diverse soluzioni, attingendo a risorse di non immediata reperibilità, ecc.; l’improvvisazione sfrutta un gesto dagli esiti non completamente prevedibili, potenzialmente rischioso, che genera tensione attiva e può lanciare la composizione istantanea in una direzione inaspettata e magari più interessante. Ma è importante ricordare che i due approcci non sono esclusivi; composizione e improvvisazione possono benissimo essere impiegate insieme, con infinite possibilità di dosaggio degli ingredienti.
Ovviamente, tutto sta nelle capacità del musicista, e dipende da ciò che vuole ottenere.
(Ci ho messo 15 minuti a comporre questa risposta.)

La tua Guitar Improvisation a volte suona quasi .. giapponese .. ci sono dei riferimenti alla musica tradizionale gagaku o alle musiche di Takemitsu?

Credo che il riferimento sia soprattutto al primo pezzo, nel quale uso la chitarra preparata e rendo chiaramente tributo alla musica dell’estremo oriente.
Sono appassionato di cultura Giapponese, e mi piace molto la musica tradizionale – più che del gagaku, sono un grande estimatore della musica per shamisen, taiko e koto; sento molta affinità per la qualità anti-ipnotica di questo strumenti, il modo in cui il silenzio risalta e fa risaltare ogni nota o colpo nella sua discrezione timbrica e ritmica.
Riguardo Takemitsu, conosco solo alcuni suoi lavori – per quanto apprezzi quello che ho sentito, non posso dire di conoscerlo abbastanza bene, e non c’è alcun riferimento alla sua musica, né ritengo possibile una sua influenza su quello che ho fatto finora.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Un artista ha il dovere, oltre che l’opportunità, di tener conto del lavoro dei suoi predecessori e di alcuni contemporanei per affilare il proprio stile nel modo più opportuno, sviluppando una “cassetta degli attrezzi” che permetta di lavorare il materiale offerto dal tempo in cui vive. Nello specifico, un odierno chitarrista o compositore per chitarra non può permettersi di ignorare tanto Francesco da Milano quanto The Book of Heads. Passato, presente e futuro non sono necessariamente monoliti impermeabili e imperscrutabili, da ordinare in fila (la Storia musicale intesa in rispettoso senso cronologico), ma materiale passibile di interpretazione, critiche, modifiche, tradimento. L’artista stabilisce delle gerarchie, in base alla propria sensibilità. Non visione uniforme, quindi, ma gerarchica, caleidoscopica e sintetica.
Il rischio di labirintite discografica è reale, ma non credo sia imputabile alla varietà (opinabile) dell’offerta. La responsabilità è individuale.

continua domani

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