lunedì 7 marzo 2011

Labradford. Il post rock si fa contemporaneo. prima parte



Labradford. Un nome che echeggia territori dal sapore sconosciuto, dalle distese ampie, caratterizzati da un ciclo di stagioni lente e immutabili. Un gruppo che nella sua carriera ha subito più e più volte denominazioni e classificazioni diverse, divertendosi credo non poco a seminare la critica musicale: all'inizio della loro carriera, erano stati definiti la reincarnazione americana dei Pink Floyd, dei maestri tedeschi del krautrock Neu!, Tangerine Dream e Klaus Schulze, nonché del padrino dell'ambient-music Brian Eno. In seguito, i Labradford si sono affermati come un ensemble da camera dei gruppi che nel decennio Novanta hanno trascinato il rock oltre i suoi classici confini, sto parlando degli appartenenti al genere “post-rock”, dai Tortoise ad Dirty Three, dai Gastr del Sol ai June of’44, rappresentando di questa galassia, dai contorni vaghi e indefiniti, l'ala più elettronica, minimalista e morriconiana.
I Labradford sono arrivati a questa sintesi sonora metabolizzando generi apparentemente antitetici tra loro, in questo caso la psichedelia, la musica industriale e quella ambientale, attraverso l'umore del proprio tempo, ottenendo qualcosa di nuovo e inaspettato. I suoni industriali della storica scuola inglese di fine anni 70, cacofonici e martellanti, qui implodono inesorabilmente, svuotati della loro forza d'impatto, collassando in un rumore lontano e indefinibile. Il ritmo meccanico scompare, agonizzando sotto forma di flebili e ovattati brusii metallici, trasformandosi spesso in un pulsazione quasi dub. Non esiste più un nemico da combattere, un riferimento, una linea di condotta, che seppur estrema rappresentava una "rottura" "contro" qualcosa, una rivolta "verso" un obiettivo, la musica dei Labradford si muove a 360 gradi, senza punti di riferimento certi, con coordinate geografiche.
La loro musica è in realtà un pasta sonora a grana grossa. Oggi ci siamo assuefatti al rumore, all’industria delle ciminiere, ai mostri meccanici, abbiamo integrato su di noi microchip quasi invisibili, e per questo più pericolosi perché subliminali, esattamente come la musica dei Labradford, che è industrial non sembrandolo affatto, così come è ambiente senza dichiararlo data la palese capacità di anestetizzare l'ascoltatore, avvolgendo in una coltre sonora soffice e rassicurante.
E d'altronde, lo stesso post-rock si è presto trasformato in una semplice attitudine, fondata sulle contaminazioni più varie tra rock, jazz, musica classica ed elettronica. Ed è riuscito a cambiare il gusto degli appassionati di rock. Basti pensare al piccolo successo di un disco come E Luxo So, interamente strumentale, senza titoli, minimalista e ripetitivo: un tempo sarebbe stato relegato nella ristretta nicchia dell'avanguardia, e guardato con diffidenza dai fruitori di chitarre e battute in 4/4. Un rock etereo, dalle fragili cartilagini, che vive di esili trame melodiche mandate in "loop" e di evanescenti divagazioni ambientali. Poche note, talvolta un semplice suono, vengono abbozzati e a partire da essi, attraverso un attento lavoro di sovrapposizioni strumentali, costruite impalcature sonore minime ma compiute.

continua domani

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