martedì 2 marzo 2010

Intervista con Fabrizio De Rossi Re, prima parte



La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la musica e con quali strumenti suoni o hai suonato? Qual è il tuo background musicale?

Naturalmente come per quasi tutti i musicisti il mio amore per la musica è nato nei primi anni di vita. Mio padre era avvocato, ma era anche un pianista di jazz. Era cresciuto musicalmente nell’immediato dopoguerra in contatto con i primissimi gruppi romani che con l’arrivo degli americani avevano aderito alla musica jazz. Con papà trovavamo gli accordi delle canzoni al pianoforte..e questo è stato determinante per la mia formazione. Mia madre invece, professoressa di lettere, aveva il culto della musica classica. Avevamo in casa una discreta e varia discoteca ( da Brahms a Dizzy Gillespie) che alimentava i miei infiniti pomeriggi invernali dopo la scuola elementare..
Dopo un certo apprendistato caotico, assai divertente, tra maestrine di solfeggio e pianiste da strapazzo, verso i 14 anni ho studiato pianoforte jazz con un grande pianista romano: Umberto Cesari. La mia formazione di base è legata dunque principalmente al jazz ed ero arrivato a suonare quaesta musica a livello professionistico in area romana.. poi attraverso lo studio in conservatorio, ricco di fermenti in quegli anni, ho preso altre strade..


Come è nato il suo interesse verso il repertorio contemporaneo e quali sono le correnti stilistiche nella quale ti riconosci maggiormente? Come definirebbe la sua musica?


La musica che scrivo ha ovviamente attraversato varie fasi..un primo periodo di apprendistato dal 1977 al 1983. Lo studio della Composizione al Conservatorio di Santa Cecilia con Mauro Bortolotti, e poi le esperienze decisive prima a Fiesole con Sylvano Bussotti e poi in seguito a Città di Castello con Salvatore Sciarrino.
Dal punto di vista stilistico mi sento uno strano animale onnivoro, posso riconoscermi in momenti diversi affine a mondi musicali lontani, o almeno in apparenza lontani, e questo mi allontana dal poter dare una definizione precisa della mia musica.


Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più “messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica contemporanea. Come compositore quanto ritiene che ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz?

In sincerità devo dire che i pezzi contemporanei per chitarra più interessanti che conosco sono scritti da compositori che sono anche chitarristi.. ( per esempio i bellissimi “Sette studi” di Maurizio Pisati). e questo darebbe assolutamente ragione a Berlioz. Tuttavia credo che nell’immaginario sonoro dei compositori della mia generazione, grazie soprattutto al pop e al rock che accompagnano la nostra vita, la chitarra sia una protagonista assoluta.. un’icona simbolica della nostra storia.
Questo contribuisce da parte dei compositori, in maniera più o meno consapevole, alla grande partecipazione dello strumento nel repertorio contemporaneo.

- parte prima
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