mercoledì 23 settembre 2009

Intervista con Chiara Asquini di Empedocle70 parte seconda



Come è nato il suo interesse verso il repertorio contemporaneo e quali sono le correnti stilistiche nella quale lei si riconosce maggiormente?


Sono una persona curiosa per natura, ma l’input mi è arrivato da un corso di semiologia della musica contemporanea che ha fatto “scattare” in me molto più di una semplice curiosità. Prima la musica contemporanea comunque mi piaceva, mi attraeva e forse mi attraeva anche il fatto che fosse un mondo totalmente nuovo e tutto da scoprire. Era il mio personalissimo “folle volo” dantesco… un mondo di possibilità, di colori da mettere su una tela, un universo di energia pura, di immagini (a volte solari, altre angoscianti, sempre affascinanti). Capire alcune cose, imparare un modo per approcciarsi alla partitura, conoscere determinate cifre stiliste, grafiche, di notazione e imparare anche una breve “storia”, ovvero qual’era stata l’evoluzione della musica contemporanea ha fatto sicuramente in modo che io potessi prima di tutto apprezzare dettagli che prima faticavo a comprendere. Mi attiravano, ma non li comprendevo appieno. E’ stato fondamentale anche l’ascolto di certi brani, partitura alla mano, dopo aver imparato alcune cose: ricordo bene la prima volta che ascoltai Threnody to the victims of Hiroshima …c’era così tanta sofferenza, angoscia, devastazione in quelle note, era così incredibile quello che c’era scritto e così devastante il suo impatto sonoro che ho pensato che dovevo assolutamente studiare questo repertorio, che dovevo arrivare a capirlo. Era bastato così poco per rimanere devastata da questo brano…quanto mi stavo perdendo di musica straordinaria, emozionante, intellettualmente affascinante?
Per rispondere alla seconda parte della domanda: non credo che ci siano delle correnti stilistiche in cui mi riconosco di più. Ci possono essere compositori che mi piacciano più di altri e di questi compositori determinati brani che sento più “miei” di altri, ma così avviene anche per il resto del mio repertorio chitarristico. Amo follemente M. M. Ponce (e di Ponce non tutti i brani, comunque), ma non il repertorio segoviano in generale. Venero J. S. Bach, ma non la musica barocca in generale. Adoro Fausto Romitelli, ma non tutta la musica spettrale…la corrente minimalista in generale mi è affine…è complicato! Alla fine, al di là delle preferenze personali, che variano molto non solo da persona a persona, ma che cambiano continuamente anche in me che sono in continua evoluzione, la cosa che trovo fondamentale è rimanere “aperti”, non avere pregiudizi verso un compositore o un repertorio. Non impedire a sé stessi di scoprire colori nuovi, mai visti


Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei suona sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … si riconosce in queste parole?


Moltissimo! Penso che ci sia qualcosa di profondamente vero in ciò che scrisse Berio. Personalmente rifuggo tutto ciò che è “chiusura mentale”, rifiuto a priori di un determinato periodo storico e delle opere relative… trovo notevolmente limitante far riferimento ad una sola parte del repertorio senza conoscere, possibilmente in profondità, le altre. E’ normale che poi un musicista scelga magari il repertorio che più gli appartiene, che lo appassiona intellettualmente e fisicamente; ma un chitarrista che suona Takemitsu, senza aver conoscenza di Giuliani, Sor, Regondi…che suona Britten, Kurtag, Scelsi, Berio senza aver mai sviscerato completamente una suite di Bach (e viceversa, s’intende)…che musicista è? Quanto arida, spenta, senza direzione né retrospettiva sarà la sua musica?
Amo molto Bach e Giuliani e amo moltissimo Scelsi e Martin! E non trovo contraddizione in questo, anzi…
Deplorevole poi quando la scelta della specializzazione in un determinato repertorio è fatta ai fini di nascondere personali mancanze e lacune in tutto il resto!
Sento spesso chitarristi, di rado musicisti, che difendono a spada tratta il repertorio contemporaneo (che, per giunta, si “difende” benissimo da solo…) autoergendosi sopra una presunta “massa”…ma se poi si chiede loro di suonare quello che loro stessi definiscono “semplice e un banale quarto-quinto-primo” non sono quasi più in grado di articolare le dita. Eppure senza Mozart, Beethoven, Chopin, Schumann…non avremmo mai avuto Ligeti, Scelsi, Kurtag, Feldman…etc…come si fa ad ignorarlo?!?!
Qualche anno fa parlando a proposito dell’arte del rubato sentì dire “trova almeno cinque modi diversi di rubare ogni passaggio dove vuoi farlo…dopo di che puoi dire di aver fatto una scelta”. Quella frase detta in quel momento rischiarò il mio cielo e la trasformai in “solo quando trovi modi diversi di fare la stessa cosa puoi dire aver fatto una scelta”…se si suona senza fare questo passaggio, quanto c’è di vero, di musicalmente approfondito in ciò che si fa? Traslato: se non si conoscono (almeno in parte e quanto più possibile) i compositori, se non si conosce il repertorio del proprio strumento, quale scelta c’è?
E’ una non-scelta…di norma, il rifugiarsi in ciò che fa meno “paura” e si trova più a portata di mano. Una notevole pigrizia intellettuale, non trovi?


L'ignavia è un peccato mortale, per cui sono d'accordo con te. Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?


Mi permetto di citare Elena Casoli (che a sua volta citava il grande Maestro Ruggero Chiesa), che durante una masterclass a Venezia disse: “i chitarristi non devono rimanere isolati”.
E’ qualcosa che va oltre la questione del marketing inteso in senso stretto: ora c’è YouTube, Myspace, Facebook…etc…sono mezzi di comunicazione e di interrelazione potentissimi e che ritengo sia fondamentale saper usare. E’ importante che i musicisti non siano isolati, che si rendano conto che ci sono altre persone che studiano, cercano, lavorano, fanno progetti spesso ambiziosi…delle cose meravigliose! E la voglia di fare aumenta! Ci sono collaborazioni con compositori, che sono nate grazie al fatto che delle persone avevano sentito alcune mie tracce audio ed erano venute a sapere di determinati miei interessi. Senza questo ora dei nuovi brani non ci sarebbero, avrei fatto meno concerti, avrei avuto meno possibilità d’espressione.
Per quanto riguarda il marketing in senso stretto, forse non è “determinante” essere dei buoni promotori di se stessi in ambito telematico…ma sicuramente è fondamentale lo spirito con cui si affrontano le avventure della vita…non la “capacità di vendersi” che è veramente un’espressione orrenda, ma la capacità di essere sul posto…con una professionalità, con voglia di fare, d’esprimere e di vivere…questo si! Puoi essere il migliore musicista del mondo tra le quattro mura della tua camera, ma “se un albero cade in una foresta deserta, senza che alcuno lo senta cadere, quell’albero è mai caduto?”…
continua domani ...

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