martedì 24 marzo 2009

File under Popular: Quattro possibili definizioni improbabili



2. Tutte queste quattro categorie sono legate a interessi specifici e, almeno per quanto mi riguarda, nes­suna di esse è sufficiente.

La prima (musica popolare come tipo di musica in­feriore) si basa su criteri arbitrari la cui dimostrabilità è tutta da verificare.

La seconda (musica popolare è musica che non sia qualche altro genere di musica) è insufficiente per quanto riguarda le delimitazioni ‑ laddove è impossibile stabilire confini netti fra “folk” e “po­polare” e tra “seria” e “popular” ‑ e tende anch'essa a basarsi su criteri arbitrari per definire il complemento “populare”. Per esempio, la musica "seria" è comunemente considerata "com­plessa", "difficile", di natura "impegnativa"; la musica popolare dovrebbe essere quindi definita come "semplice", "accessibi­le", in una parola: “facile”. Ma molti brani musicali comunemente considerati “seri” (l'Hallelujah Chorus di Hándel, molti Lieder di Schubert e molte arie verdiane) sono di grande semplicità; per contro, non è assolutamente scontato che i dischi dei Sex Pistols siano "ac­cessibili", che la musica di Frank Zappa sia "semplice" o quella di Billy Holiday "facile".

La terza categoria (musica popolare come connessa a un particolare gruppo sociale) è inadeguata perché le pratiche e i generi musicali, anche quelli legati alle minoranze più estreme, non po­tranno mai essere limitati a particolari contesti sociali. Lo con­fermano la mobilità sociale e l'instabilità a livello di classe odier­ne, come anche il carattere sempre più omogeneo della diffusio­ne dei media e del mercato culturale. Ma anche nel XIX secolo le canzoni da salotto e i motivi del teatro "borghese" erano ascoltati e riprodotti da molti lavoratori, che inoltre avevano modo di ascoltare la musica "seria" eseguita da bande e in concerti all'a­perto, mentre la proprietà della canzone “folk” era disputata fra Il contadini", operai, scrittori e artigiani piccolo‑borghesi e colle­zionisti aristocratici. Da un punto di vista più teorico, in qualsia­si momento della storia, il campo musicale e la struttura sociale, anche se chiaramente collegati, costituiscono due "rnappe" di­verse dello spazio socio‑culturale, e una non può essere ridotta matematicamente all'altra.

La quarta categoria (musica popolare in quanto tale perchè diffusa dai mass media e/o in un mercato di massa) è anch'essa insufficiente, e questa volta per due ragioni. Lo sviluppo dei metodi di diffusione di massa (prima la stampa, poi l'elettromeccanica e infine l'elettronica) ha condizionato tutte le forme musicali, e tutte possono essere considerate oggetto di consumo; se la distribuzione capillare di una registrazione di una sinfonia di Beethoven (vedi la vecchia pubblicità del brandy Etichetta Nera”) fa sì che quest'o­pera diventi “musica popolare”, allora questa definizione è a dir poco inutile. Inoltre tutte le forme di quella che viene general­mente considerata musica populare possono per principio essere diffuse con metodi diretti (per esempio i concerti) e non attraver­so i mass inedia, e tutte possono essere gratuite, o anche struttu­rate a livello di una partecipazione collettiva, piuttosto che esse­re vendute come un oggetto di consumo (vedi determinate scene musicali caratterizzate da una vera allergia ai mass media.
Il dibattito è quanto mai aperto e caratterizzato da una grande confusione di fondo: Piazzolla è “colto” o “popolare”? Ha studiato con Ginastera e la Boulangier, ma ha un approccio anti accademico, suona una musica che è nata nei bordelli ma l’ha elevata a colonna sonora universale.
Steve Reich è un compositore che trae spunti dalla musica popolare africana e ebraica, non viene dall’accademia ma è suonato dai più importanti ensemble contemporanei.
Il premio Oscar alla carriera Ennio Morricone è un compositore per musiche di film western? Un eccellente improvvisatore? Un genio contemporaneo?
La mappa e il territorio che rappresenta mi sembrano quanto mai difficili da rappresentare in termini precisi, netti e definitivi. Ai posteri.......

Vedi “Studiare la popular music” di Richard Middleton, Feltrinelli 2001

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