domenica 28 dicembre 2008

MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna 27 novembre 2008 – 15 gennaio 2009

Collezioni mai viste. Sette autori per scoprire le facce in ombra delle collezioni del MAMbo

A cura di Maurizio Giuffredi, Fabio Fornasari, Fernando Torrente – Associazione 0gKcon Uliana Zanetti
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

27 novembre 2008 – 15 gennaio 2009


Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna presenterà, dal 27 novembre 2008 al 15 gennaio 2009, un ciclo di sette serate-incontro che sonderanno quegli aspetti degli ambienti e delle collezioni del MAMbo percepibili anche senza l’uso della vista.
Il progetto, intitolato “Collezioni mai viste” e curato da Maurizio Giuffredi, Fabio Fornasari, e Fernando Torrente dell’Associazione 0gK, si avvale della partecipazione di sette autori, uno per ciascuna serata, provenienti da diversi ambiti creativi, che proporranno interventi appositamente ideati o rielaborati per l’occasione: Stefano Bartezzaghi, Ugo Cornia, Ottonella Mocellin/Nicola Pellegrini, Paolo Nori, Salvatore Sciarrino/Lost Cloud Quartet, Giacomo Verde.
Il progetto, di natura sperimentale, intende dilatare e diversificare le possibilità di accesso al museo, esplorando ambiti inventivi e discorsivi comuni a vedenti e non vedenti.

Questi incontri permetteranno di concentrare l’attenzione sul lato non-visivo dell’arte, che dalle avanguardie a oggi ha assunto un’importanza sempre maggiore e che, talvolta, si manifesta in modo del tutto autonomo.

Lo sviluppo di una specifica abilità, allo stesso tempo corporea e mentale, che alcune opere richiedono, permette di ritrovare un sapere e un sentire che hanno fatto parte del nostro passato più lontano e che il primato pervasivo di una vista intesa come strumento unico di conoscenza ci ha portato a smarrire.

Quell’abilità che talvolta l’opera richiede è attivabile da ogni non vedente, il quale tuttavia crede, come gli hanno insegnato, di non poter entrare nei musei perché l’arte è solo visiva o, tuttalpiù, tattile.

In modo complementare un vedente pensa che l’unico modo di vedere sia percepire con gli occhi. Tra questi due estremi c’è un terreno comune, da esplorare attraverso una rinuncia a quell’abitudinarietà che porta a percepire le cose secondo modalità stereotipe. Un terreno in cui, passando attraverso le opere e l’ambiente che le ospita, sono possibili frequentazioni, incontri, scambi di sapere, costruzioni di nuove abilità.

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