giovedì 2 ottobre 2008

Speciale Maurizio Pisati: Intervista di Empedocle70 parte seconda

E.: Ho notato diversi suoi video su youtube contrassegnati come Theatre of Dawn, caratterizzati da una forte impronta multimediale, di che cosa si tratta?
Theatre of Dawn (Teatro dell'Alba), è un'idea nata nel 1993 e portata a termine nel 2007 con l'Ensemble Elision di Brisbane, Regia di Megan Rowland, pitture in video di Ferruccio Bigi, Video di Max Bertolai, ©CasaRicordi2007.
Ognuno dei SetteStudi è diventato un Duo per Chitarra e altro strumento (Voce, Viola, SaxTenore, Flauto Dolce Contrabbasso, Clarinetto Basso, Percussione, Contrabbasso), cui ho aggiunto quattro Tracce AudioVideo, un pezzo per Percussioni Pianoforte ed Elettronica, altri due pezzi per l'Ensemble di tutti gli strumenti solisti, con parti anche di improvvisazione collettiva.
E' un teatro fantastico immaginato in una di quelle vecchie case di pietra e legno, appartenute a minatori e ora abbandonate un po’ ovunque sulle Alpi, ai confini tra Italia e Francia, Svizzera, Austria. In quell’ora in cui non è più notte e neppure giorno, sette “spiriti” di leggende alpine si incontrano nei resti di una di queste case e quel momento indefinibile tra penombra e luce è dilatato dalla musica. Al centro del lavoro si esegue "7", scritto nei giorni della scomparsa di Frank Zappa ed a lui dedicato, sino al finale -Dawn- dove video e suono della penna che scrive sul pentagramma si integrano con l’esecuzione dell’Ensemble.
La Chitarra è in tutta l'opera strumento principe, Geoffrey Morris è stato protagonista assoluto affrontando il lavoro con serietà e grande forza interpretativa: dietro al tulle che copre la scena e su cui sono proiettati i video, suona l'Ensemble, illuminato ora in trasparenza dal video, ora dalle luci di regia. Tutti quindi appaiono o scompaiono mentre il Chitarrista, con una telecamera sul manico dello strumento, è sempre nascosto da un ulteriore telo da proiezione: di lui si vedono solo grandi mani in movimento proiettate dal vivo sullo schermo che lo nasconde.

TheatreOfDawn Foto By Sharka Bosokowa
























































E.: L'etichetta ZONE è una specie di firma, di marchio che contraddistingue una buona parte dei suoi lavori, come può essere definita? Un gruppo di musicisti? Un’interfaccia culturale?
M.P.: Fra tutte le definizioni di ZONE, "interfaccia culturale" è tra le più adeguate, mi piace e bene esprime anche parte delle motivazioni poetiche. Il nome nasce dalle suggestioni ricevute dal film Stalker, di Andrej Tarkovsky, dove la "zona" è un ambiente in cui tutto è al limite di essere altro, senza possibilità di un cammino a ritroso. Ti volti e la strada appena percorsa è già mutata.
In pratica, a partire circa dal 1993,
l'idea di ZONE è divenuta questa: "un progetto, un gruppo, un’idea in evoluzione attorno alle mie musiche, dove sia coinvolto io stesso al Live Electronics o alla Chitarra Elettrica MIDI. Sulla tastiera di questa chitarra, ormai diventata un Ensemble Virtuale, si muovono gli abitatori delle ZONE: campioni delle percussioni di Maurizio Ben Omar, Jonny Axelsson e Kuniko Kato, le voci di Luisa Castellani, Marco Bortoli, Ursula Joss e Deborah Kaiser, ingegneri del suono come Alvise Vidolin, Davide Rocchesso e Hubert Westkemper, oggetti sonori manipolati, personaggi come il Maestro di Kali Maurizio Maltese, gli Attori Elena Callegari, Annig Raimondi e Riccardo Magherini, le firme e le voci di Roberto Sanesi e Thor Vilhjalmsson, i Flauti antichi di Antonio Politano, Kees Boeke e Carsten Eckert, i Flauti di Manuel Zurria, i Sax di Jörgen Pettersson, Pierre Stephane Meugè, Federico Mondelci e Jam-Paoletti, il Pianoforte di Marianne Schröder, Oscar Pizzo e Massimo Somenzi, i Violoncelli di Mario Brunello e Francesco Dillon, le Chitarre di Elena Càsoli, Jürgen Ruck, Magnus Andersson e Geoffrey Morris, il trombone di Ivo Nilsson, le immagini di Gianni Di Capua, Max Bertolai, Marcos Jorge, le pitture di Ferruccio Bigi e Salvatore Zito, artisti che vivono attivamente il pensiero contemporaneo e che, sparsi un po’ ovunque, percorrono le ZONE"

E.: Lei ha fondato, assieme ad Elena Càsoli, LArecords, etichetta indipendente dedicata ad incontri e produzioni particolari tra musica e letteratura. Vuole parlarci di questo progetto e delle sue realizzazioni? Prossimi dischi? Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?






M.P.: La domanda unisce due aspetti -idea e mercato- che consuetudine vuole connessi e interdipendenti, ma a mio parere le cose non stanno sempre così. Rispondo con ordine:
-L’idea: "LA"viene da "LAbii reatum", il nome della nota nella formula mnemonica ricavata da Guido d’Arezzo da un Inno di Paolo Diacono. Il richiamo storico era necessario per dichiarare l’origine letteraria e poetica dell’etichetta: LArecords nasce dall'incontro col poeta Roberto Sanesi , la cui voce è entrata, per così dire, nel mio strumentario. Da quel momento LAbii reatum è queste voci significative, Sanesi, l’islandese Thor Vilhjalmsson , Irino Reiko Takashi, impurità del labbro, colpa del racconto e di velare-svelare i segreti che il poeta ricrea ad ogni pagina. Sotto il logo vi è infatti: "LAbii reatum, la colpa del labbro è il piacere di raccontare. LA immaginiamo come una favola. LA ascoltiamo. LA vedi?"
-Prossimo disco: la voce di Heitor Villa Lobos. Abbiamo organizzato una "festa" tra amici e musicisti italo-brasiliani in una villa gardesana, io ho composto sette incipit che, partendo da Villa Lobos, sfumavano in inviti all'improvvisazione e li ho sparsi su piccoli fogli nella villa, a sua volta disseminata di microfoni. Durante la festa, abbiamo registrato rumori, chiacchiere, lettura dei frammenti e improvvisazioni, racconti di storie e di ricette brasiliane, ottenendone poi un'unica sequenza. Al suo interno, la voce di Villa Lobos, concessa dal Museo di San Paolo, pronuncia parole forti e affettuose sulla sua terra e sulla musica, mentre Elena Càsoli esegue una scelta di brani del Compositore brasiliano. Sembra quasi di averlo lì alla festa, ascoltare la propria musica e godere del cibo.
Il disco si intitolerà "TUHU - homenagem ao malandro carioca" e, come gli altri, sarà preso in consegna per la vendita da Stradivarius.
-Mercato e tecnologia: questi cd sono fatti per essere presenti in numero limitato e nei posti più diversi. Questa è in parte anche la regola di un certo mercato, che insegna a dislocare maggiormente i prodotti piùselettivi, ma per noi è condizione mentale di default: la nostra attività non percorre strade note, si svolge prevalentemente all'estero (e poi, per forza: la maggior parte del mondo è "estero") e così i nostri cd sono nelle mani di artisti di ogni genere in ogni parte del mondo. Venendo quindi all'mp3, direi che, come tutti i passaggi, ha portato a deviazioni dallo standard: all'inizio, la compressione mp3 penalizzava alcune frequenze a favore di una portabilità senza pari, e pochi immaginavano un mercato mp3, solo qualche appassionato di HiFi intuiva e inorridiva al solo pensiero.
Ora però il maggior “negozio” di musica in USA è iTunes, le possibilità sono maggiori e, attenzione: convivono. Quasi nulla è scomparso. Esiste l'hip hop, l'mcing e le battles, djing, beatboxing, remix, vintage...e tutto fa suono. Ancora vi sono musiche -non solo di consumo- che nascono per il vinile, ancora le produzioni discografiche usano DAT e ADAT unitamente al digitale su HD, i files passano da fibre ottiche e talvolta vengono inviati proprio così al mastering finale. Intanto anche lo sviluppo di poetiche e tecnologie muta a suo modo i mercati: soffriamo forse per la scomparsa del colofonio o dei crini di cavallo "di una volta", o dei tasti in avorio che abbiamo scoperto essere "nocivi" per trichechi o elefanti, o delle canne in piombo nocive agli Organisti, o della forma a otto della Chitarra nociva chissà, ai matematici? Insomma io penso che il download mp3 sia solo un aspetto della straripante -e, volendo, positiva- offerta di circolazione del materiale. Il mercato dei cd ne soffre, ma lui stesso, suicida, è per primo indifferente alla qualità e destinato a naturale riduzione: perchè la falsa idea che un mercato debba solo crescere si basa su esigenze indotte e indipendenti dal prodotto, mentre al musicista serve la qualità.
Ed ecco la risposta in un paradosso: la storia insegna che le vie della qualità sono infinite, e a me interessa che anche le vie di trasmissione della qualità lo rimangano. A fronte di un declino del cd (delle sue vendite), inventeremo il modo di continuare a trasmettere, ma non per risolvere un problema di mercato.
Non nego la necessità di un business, sono il primo talvolta a lamentare la differenza col mondo delle altre arti, ma reagisco al tentativo di addossare all'artista il problema del mercato, che è solo un problema, appunto, di compravendita, interessi e necessità indotte, in una guida sapiente della spontaneità di massa.


E.: Ho notato in questi ultimi anni un progressivo avvicinamento tra due aspetti della musica d’avanguardia, da un lato l’aspetto più accademico e dall’altro quello portato avanti da musicisti ben lontani dai canoni classici e provenienti da aree come il jazz, l’elettronica e il rock estremo come Fred Frith, John Zorn, la scena downtown newyorkese e alcune etichette di musiche elettroniche come la Sub Rosa e la Mille Plateux influenzate dal pensiero di Deleuze e Guattari. Che ne pensa di queste possibile interazioni e pensa che vi sia spazio anche per esse in Italia? Inoltre, si sente spesso parlare di improvvisazione, a volte di improvvisazione aleatoria nell’ambito della musica contemporanea a volte confondendola con l’azione e il gioco della casualità come per Cage, quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale?
M.P.: L'improvvisazione mi accompagna da sempre, a fasi alterne e nelle modalità più disparate. Da studente improvvisavo nello stile di Bach e Vivaldi, ma prima, quando ancora non conoscevo la musica mi ero comprato un Kazoo con cui cantare liberamente qualsiasi cosa mi venisse in mente..., poi ho improvvisato con Maurizio Maltese, Maestro di scherma filippina "arnis de mano", col percussionista Maurizio BenOmar sonorizzando un film ambedue con la mia Chitarra MIDI, io con le dita e lui con battenti e mani, poi col cantante dei WajaMaja Marco Bortoli, vero cappellaio matto, quindi in nippo-italiano&chitarra col compositore Takashi Niigaki ed Elena Càsoli a Tokyo, sulla Chitarra classica nell'incontro ZONE-EnsembleSon di Stockholm, con l'Attore Riccardo Magherini e la magica Voce di Bernardo Lanzetti alla Palazzina Liberty di Milano, poi con la mia penna e i suoni che produce scrivendo sul pentagramma, e infine nel duo FLASHetBIP col Light Designer Fulvio Michelazzi e col saxofonista di Melbourne Tim O'Dwyer.
Sembra quasi un curriculum, ma ora pare quasi d'obbligo improvvisare, e la cosa un po' mi diverte. E' affascinante il pensiero di Deleuze-Guattari che Lei cita: una rilettura di Nietsche che veda quelle idee non già come teorie di dominio bensì come strumenti di liberazione, nell'esplicitazione del desiderio, essendo noi stessi organismi eminentemente desideranti. E' auspicabile l’approfondimento di questi pensieri e forse parte della musica è in questa direzione, ma il musicista ha a che fare col suono e talvolta ho quasi l'impressione di ascoltare atavici e immaginari riti tribali, in una visione quasi limbica, gregaria e primaria dell'attività umana.
Detto questo: penso, più che ai desideri, alle esigenze -il che è ancora più primordiale, se non prenatale- e vorrei costruire organismi sonori "esigenti", quasi con possibilità di auto-apprendimento, che si nutrano delle esigenze dell'invenzione.
Sento cioè un ulteriore bisogno di crescita. Rischio di sembrare inutilmente provocatorio, ma attualmente l'improvvisazione che mi interessa non è quella di vie già percorse da ragazzi, abbiamo rivoltato e taroccato i nostri strumenti, suonato a piedi nudi con ogni sorta di oggetti, è stato bellissimo, personalmente continuo a farlo quando servono campioni di quel tipo, ma penso che, dal vivo, sia tempo di improvvisatori alla...Beethoven: sì, compositori. Inventori, musicisti in speciale confidenza con lo strumento, un comporre rapido dove paradossalmente siano ancora attuali Frank Zappa o ancor più Miles Davis.
Di Beethoven –per noi uno dei maestri del controllo formale- i critici dell'epoca dicevano proprio che era un improvvisatore, che non padroneggiava la forma da vero compositore....! Zappa stesso è ancora illuminante: "la musica la fanno i compositori...il compositore è quel tipo di persona che se ne va in giro imponendo la propria volontà a ignare molecole d'aria, spesso assistito nel suo agire da ignari musicisti...se riuscite a pensare un progetto potete anche eseguire un progetto: si tratta in fondo solo di un mucchietto di molecole d'aria, chi vi controlla?" parole a loro volta derivate probabilmente da Edgar Varèse: "...ciò che voglio arrivare a fare è perturbare l'atmosfera, perchè, dopotutto, il suono è solo una turbolenza atmosferica!".
Ecco quindi il naturale avvicinamento tra i generi, una improvvisazione che diviene turbolenza atmosferica, pensiero e suono organizzato. Cerco quindi compagni non già tra i meteorologi, ma, per così dire, tra i venti che li preoccupano.

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