giovedì 10 luglio 2008

Citazioni, neo-classicismo, parodia, note su Igor Stravinsky,




Il testo che presentiamo è un estratto del saggio stato pubblicato da Emanuele Ferrari in "Materiali di estetica", CUEM, Milano, maggio 1999.










1- (…) La critica è stata incuriosita e tormentata dal problema delle «influenze» sulla musica di Stravinsky. L’autore lo sa bene, e riporta spesso nei suoi scritti gli echi di questo affannarsi. Una dopo l’altro sfilano riferimenti che egli ammette, altri che lo sorprendono, altri ancora -è il caso più frequente- che riporta con stoica impassibilità, qualcuno-pochissimi- che smentisce seccamente. Ma la reticenza nel commentarli dà l’impressione che l’autore non voglia alimentare una discussione che lo esaspera.




Posso chiedere all’ascoltatore di sospendere queste domande, come ho fatto io componendo, e cercare invece di scoprire le qualità stesse dell’opera? Non l’ho composta per alimentare dibattiti sulla «validità storica dell’approccio» o «l’uso del pasticcio»- sebbene ammetterò volentieri che questo è ciò che ho fatto, se ciò libererà la gente da queste stupide discussioni per riportarla alla musica.’




Stravinsky è ben lungi dal negare il suo articolatissimo rapporto con la musica del passato, fatto di prestiti, spunti, rielaborazioni, innesti, omaggi, affinità e quant’altro. Ma è categoricamente contrario all’idea che questo sia il terreno su cui deve muoversi la critica. Il primo motivo lo conosciamo già: il materiale allotrio, non appena viene usato, si fonde e si trasfigura nello stile, e questionare lo stile è come sindacare il soffio dello spirito o la varietà delle forme viventi. La seconda ragione è che il valore della musica non ha relazione con le sue stratificazioni ma con la sua funzionalità artistica, in sostanza il suo essere ben scritta o no. Risolve l’opera i problemi musicali che essa stessa pone? con quali mezzi? queste sono le domande che ha senso porsi se si vuole giudicare il valore di un brano. Solo di questo possiamo chiedere al compositore di render conto. Il terzo motivo è stato chiarito dalla discussione sulla storia. Rimandi, influenze e trasfusioni non riguardano l’opera musicale come oggetto di giudizio bensì il suo posto nella storia, due piani assolutamente non coincidenti. La direzione in cui un’opera esplora, la sua relazione con le tendenze dominanti della sua epoca, il suo contributo allo sviluppo del linguaggio musicale sono questioni storiche formulabili solo a posteriori, fuori da qualunque assetto normativo. Opere del più alto valore musicale, come i quartetti di Beethoven, possono essere storicamente non consequenziali. Per tutte queste ragioni, identificare il compito della critica con quello dello storico è una confusione concettuale che porta all’arbitrio. (…)




L’impressione che si ricava dall’insieme delle osservazioni di Stravinsky è che egli tenda a ribaltare l’impostazione corrente della critica, anche di quella più avvertita e meno improvvisata. Le analisi della sua musica hanno spesso assunto a tema l’artificialità consapevole delle sue operazioni, inquadrandone i risultati sotto il segno della citazione, dello straniamento e della parodia. Stravinsky afferma da un lato che tutta l’arte è artificiale e convenzionale, dall’altro tende ad accreditare il suo rapporto col passato come «naturale», in linea con la tradizione. Componendo la Circus Polka



la citazione della Marcia Militare mi venne come una cosa del tutto naturale, lo dico per eludere l’inevitabile professore tedesco che inevitabilmente chiamerà parodia l’uso che ne ho fatto.’



Viene il dubbio che per Stravinsky la complessità labirintica dei rimandi della sua musica sia un problema di lettura.. Stravinsky si ritiene originale ma non anomalo. Non rientra fra i suoi motivi d’ orgoglio l’aver proposto un nuovo rapporto con il passato, diverso da quello della tradizione. Quando parla di scoperte in questo campo lo fa in termini rigorosamente soggettivi, inquadrandole come momenti cruciali della sua evoluzione. Abbiamo visto come sottolinei spesso che i maestri del passato non facevano diversamente da lui. Il punto è che questo rapporto con il passato è divenuto problematico per la cultura musicale del novecento; per «leggere» la musica di Stravinsky siamo costretti a indossare lenti spesse e sofisticate, e la nostra attenzione viene per forza di cose calamitata dalla presenza, in quella musica, di un passato che affiora in modo scoperto. (…)



Un aspetto interessante del discorso di Stravinsky sulle «influenze» musicali è il problema della consapevolezza del compositore, il cui ruolo sembrerebbe variare sensibilmente a seconda del contesto. Alcune formulazioni presuppongono nel compositore una consapevolezza completa, come la secca smentita sul Don Giovanni, altre sono possibiliste:



'si è detto che il tema delle variazioni suona «alla Copland». Ma se questo è vero, io non ne ero consapevole.’




In realtà Stravinsky sta parlando di cose diverse. Nel primo caso la secca smentita è in risposta a un critico che gli attribuisce un prestito di cospicue dimensioni da Mozart. Ebbene, questa è la sfera di cui il compositore è consapevole, quella del materiale da costruzione. L’uso prolungato dei ritmi puntati in Apollo non «suona» inconsapevolmente francese: fa parte del gioco dell’autore, è un tributo (che i critici-non manca di sottolineare Stravinsky - all’epoca non colsero) alla Francia del Seicento; lo stesso vale per il taglio barocco dei temi utilizzati in altre opere. L’uso di un materiale preesistente come base per la costruzione è parte del «calcolo»del compositore, se questi non è un ingenuo.




Ora, poiché io non ho il temperamento caratteristico dell’accademismo, è chiaro che mi sono sempre servito delle sue formule scientemente e volontariamente. Me ne servo volontariamente come farei del folclore:sono le materie prime della mia opera.’



Così, è lo stesso Stravinsky a suggerire che le numerose citazioni di melodie ottocentesche in Jeux de Cartes potrebbero essere pensate come se arrivassero fluttuando dal teatro dell’Opera di un’ipotetica stazione termale dell’epoca. Il caso del tema à la Copland, invece, e quello di numerosissimi altri, è diverso. Qui si riconoscono a posteriori echi, assonanze e somiglianze che non sono il prodotto della volontà del compositore ma di una dinamica storica profonda. Su queste Stravinsky non fa della consapevolezza una questione decisiva. Le correnti che collegano opere lontane nel tempo sono sotterranee, determinate da processi storici giganteschi, da intersezioni neppure lontanamente provocabili intenzionalmente. La tradizione e il passato risuonano attraverso la «scienza» del compositore: non c’è niente di esoterico, è solo il suo appartenere al mondo e alla storia. Su tutto questo il compositore ha tanto -o tanto poco- da dire quanto chiunque altro, anche sulla sua stessa musica. E’ forse questa la ragione profonda del silenzio che accompagna nei suoi scritti la citazione delle «influenze» che la sua musica di volta in volta esibisce secondo i critici,, anche quando le riporta con evidente fastidio. (…) L’atteggiamento di Stravinsky verso questi temi è lo stesso che egli assume nei confronti del proprio tempo. L’unica strada legittima aperta al compositore è la fedeltà a se stesso, il seguire le leggi della propria natura e del proprio stile, seguire il proprio appetito musicale fino in fondo. Per questo, non c’è bisogno di fare tabula rasa né del passato né del presente.



Tentavo soltanto di riattare vecchie navi, mentre la controparte -Schoenberg- cercava nuovi mezzi di trasporto? Credo che questa distinzione, molto gettonata una generazione fa, sia scomparsa. (Un’ era assume una sagoma solo col senno di poi, e questo la riduce ad opportune unità, ma tutti gli artisti sanno di esser parte di una stessa cosa). Certo, io sembravo aver sfruttato un’apparente discontinuità, aver fabbricato arte con le disjecta membra, le citazioni da altre compositori, i riferimenti a stili precedenti («segni di una più antica e diversa creazione»), il detrito che indica un relitto. Ma ho usato ciò, e ogni cosa che mi è venuta a portata di mano, per ricostruire, e non pretendo di aver inventato nuovi veicoli o nuovi mezzi di trasporto. Ma il vero compito dell’artista è riattare vecchie navi. Può dire ancora, a modo suo, solo quello che è già stato detto.’




2- Un’ultima questione merita la nostra attenzione. Cosa rimane, dopo tutto questo, di concetti come citazione, neoclassicismo e parodia? Essi compaiono con parsimonia negli scritti di Stravinsky, e non giocano il ruolo che avremmo potuto aspettarci. Nel contesto ampio e articolato che abbiamo ricostruito essi possiedono infatti un insufficiente potere esplicativo,quando non risultino riduttivi o inadeguati. La citazione non è che uno dei mille modi in cui l’«altro» entra nella musica di Stravinsky, e non gode negli scritti di privilegi particolari. Quanto al cosiddetto neoclassicismo -Stravinsky non nomina mai la parola senza prenderne le distanze... Cosa si può dire? Non che corrisponde a un periodo della produzione di Stravinsky, per cominciare; l’autore ama ripetere che i principi della sua arte non sono cambiati, e se si vuole definire neoclassica la sua musica fra le due guerre allora quella successiva non lo è di meno. Ma in un senso soltanto, quello chiarito dall’Advertissement del 1927: è musica che non ha basi extra-musicali. (…)




La parola urta Stravinsky probabilmente anche per la sua rigidezza, poiché presuppone che ci sia un modo ben preciso di operare sotto questa etichetta. Ma il panorama delle sue operazioni, come Stravinsky ce lo descrive, è frastagliatissimo e non riducibile ad alcuna formula. (…) L’insofferenza manifestata dal compositore per questa categoria non deve aver dato però i frutti sperati, se ancora nel 1959, a Tokyo, nel recarsi a una conferenza stampa Stravinsky confidava ironicamente a R. Craft di essere curioso di sentire come suona in giapponese la parola «neoclassico»... Per la parodia il discorso è più complesso, ma neppure questa è una categoria privilegiata sotto cui l’autore pone il suo operare. Anzi, nel caso più comunemente chiamato ad esemplificare questo concetto, il Pulcinella, prende esplicitamente le distanze dal concetto, almeno nel concetto riduttivo di satira intenzionale.




Che il risultato forse in un certo senso una satira era forse inevitabile -chi avrebbe potuto trattare quel materiale nel 1919 senza farne una satira?- ma anche questa osservazione è a posteriori; non mi misi a comporre una satira e naturalmente Diagilev non avrebbe mai pensato a una possibilità del genere.’




Il Bacio della Fata, fu ispirato dall’amore e dal rispetto per Cjakovskij, che Stravinsky descrive come uno dei più dotati compositori della tradizione russa, e anche qui ogni intento satirico è fuori questione. Il punto è che se intendiamo «parodia» in un senso vicino a quello rinascimentale, cioè come utilizzo di materiale musicale già esistente per una composizione, il termine diventa tanto ampio quanto l’intera produzione di Stravinsky, perdendo così potere esplicativo. Nel senso specifico di satira,invece, indica un atteggiamento di cui negli scritti dell’autore non c’è quasi traccia. La satira comporta un desiderio di irrisione di ciò che prende ad oggetto. Il sentimento che spinge Stravinsky a scegliere un modello è ben altro; stando alle sue parole, si tratta di apprezzamento e amore. Un’altra ragione da non sottovalutare è che la parodia - nel senso di satira- è un processo transitivo. Se si fa satira di qualcosa, l’interesse e l’attenzione passano quasi interamente all’oggetto irriso: la satira mette in primo piano il proprio bersaglio. Ma il modo con cui Stravinsky concepisce la propria musica segue il verso opposto: ciò che è altro viene assorbito nell’omogeneità dello stile. Stravinsky prende troppo sul serio se stesso e la propria musica per riferirla, in ultima analisi, ad altro. La sua musica - forse tutta la musica - è intransitiva. Dice Auden, poeta stimatissimo e citato dall’autore:


Tutte le affermazioni musicali sono intransitive, alla prima persona, singolare o plurale, e al presente indicativo’.

La musica è responsabilità, è il frutto di un preciso impegno: «Noi abbiamo un dovere verso la musica, quello di inventarla».



Io guardo ai miei talenti come donati da Dio, e l’ho sempre pregato di darmi la forza di usarli. Quando nella prima infanzia scoprii che ero stato fatto custode di attitudini musicali, promisi davanti a Dio di essere degno del loro sviluppo, per quanto, naturalmente, io abbia rotto la promessa e abbia ricevuto grazie immeritate per tutta la vita, e benché il custode abbia troppo spesso tenuto fede al contratto secondo le sue troppo terrene clausole personali.’


Ancora il sacro, ancora l’ironia: la sfinge Stravinsky ama coniugare gli opposti. Tra giochi di parole e cambi repentini di direzione, i suoi libri somigliano ai giardini barocchi in cui un percorso invitante e un meccanismo ingegnoso conducevano l’ospite a frequenti docce gelate.





Chi volesse consultare integralmente il saggio
http://users.unimi.it/~gpiana/dm4/dm4stref.htm

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